Perle ai porci (e va bene così)

Succede. Più spesso di quanto vorremmo ammettere.
Portiamo metodi innovativi, strumenti raffinati, approcci frutto di anni di studio, di lavoro su di sé, di esperienza viva. Li portiamo con cura, con passione quasi artigianale, li offriamo convinti che accadrà qualcosa di magico.
E invece… niente.
Lo sguardo spento. La reazione di cortesia. L’interesse che evapora più velocemente di una pozzanghera ad agosto.
E allora, puntuale come una tassa dimenticata, arriva il pensiero: “Ho appena dato perle ai porci.”
La grande illusione: che basti che qualcosa sia buono, utile, trasformativo perché venga accolto. La grande lezione: non basta. Non è mai bastato. E non è una questione di valore: è una questione di prontezza.
Sostenibilità green: molto rumore per nulla

Lavorando con le organizzazioni, tra le criticità che raccolgo spunta spesso la stessa storia: una sostenibilità green trasformata in un labirinto di adempimenti. Peccato che, più che cambiamento, producano soprattutto… burocrazia verde a chilometro zero.
Abbiamo inventato la sostenibilità a colpi di norme, certificazioni, protocolli. E valutazioni di qua, e verifiche di là della sostenibilità.
Ci siamo messi a spuntare caselle, a dichiarare adesioni a iniziative internazionali, a compilare report dove la parola green batte qualsiasi altro termine per numero di presenze.
Peccato che la realtà fuori dai documenti si ostini a non migliorare alla stessa velocità.
Mentre aderiamo a tutto ciò che suona sostenibile, continuiamo a usare, consumare, produrre secondo logiche che hanno ben poco di rigenerativo.
È come cambiare l’etichetta su una bottiglia e pensare di aver cambiato il contenuto.
Il problema?
Adeguiamo i comportamenti superficiali, ma il paradigma di fondo – quello che davvero plasma il nostro modo di vivere, lavorare, produrre – resta com’è.